Audizione il 20 gennaio 2015 di Giancarlo Cerrelli presso la Commissione Giustizia del Senato della Repubblica, sulle unioni civili.
Roma, 20 gennaio 2015
Audizione dell’avv. Giancarlo Cerrelli presso la Commissione Giustizia del Senato nel dibattito sulla regolamentazione delle unioni civili
Ill. mi Senatori,
Il Comitato Sì alla famiglia – che in quest’autorevole sede rappresento – è un cartello di associazioni cattoliche, evangeliche e laiche che – riguardo ai disegni di legge nn. 14 e connessi in materia di disciplina delle coppie di fatto e delle unioni civili – considera opportuno distinguere con estrema chiarezza il cosiddetto matrimonio omosessuale, con la conseguente possibilità di adottare figli, cui è assolutamente contrario anche qualora lo si nasconda pudicamente sotto il nome di “unioni civili”, dal riconoscimento dei diritti e doveri che derivano dalle convivenze.
Il Comitato ritiene ammissibile riconoscere i diritti e i doveri che nascono dalle convivenze, nel rispetto delle persone conviventi omosessuali e non; tuttavia è fortemente contrario al «matrimonio» omosessuale con le adozioni, né sotto vero nome, né sotto falso nome, perché la compresenza di diversi tipi di matrimonio – ci sarebbe anche quello poligamo, praticato in Europa da tanti musulmani – fa male al matrimonio. Parlare di famiglie e non di famiglia fa male alla famiglia. E chi fa male alla famiglia fa male alla società e fa male all’Italia, che è stata salvata dalla famiglia e sarà salvata solo dalla famiglia.
Il Comitato, a tal fine, per fornire una proposta concreta e positiva, ha predisposto un testo unico sui diritti dei componenti di una convivenza facendo una ricognizione delle disposizioni che l’ordinamento italiano già prevede a favore dei conviventi, al fine di coordinarle e renderle più fruibili.
Il testo è composto da 8 capi e 33 articoli, elenca e ribadisce, con alcune norme di raccordo, quanto l’ordinamento italiano già prevede, esplicitamente o implicitamente, in tema di diritti dei conviventi.
Tra i diritti di cui il testo unico fa una ricognizione, si evidenziano: l’assistenza in qualunque struttura sanitaria del convivente nei confronti del proprio partner, norme di parificazione del convivente al coniuge in tema di assistenza da parte dei consultori, d’interdizione e inabilitazione, di successione nella locazione e nell’assegnazione di un alloggio popolare.
Il testo prevede, tra l’altro, il diritto che ha il partner, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subìto dall’altro partner e all’indennizzo che spetta al partner vittima di delitti di mafia o di terrorismo.
I diritti menzionati sono previsti sia per le convivenze tra persone di sesso diverso, che per quelle dello stesso sesso.
A differenza di quanto fa il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, il testo unico del Comitato Sì alla famiglia non parla di unioni civili – una sigla che in tutta Europa significa qualcosa di analogo, in tutto, al matrimonio tranne che nel nome – e, tra l’altro, non prevede né l’adozione, né la riserva di legittima per la successione, né la reversibilità delle pensioni, che sono fattispecie tipiche dei matrimoni o almeno di simil-matrimoni.
Il Comitato Sì alla Famiglia ritiene che un testo di legge come quello in discussione, che intende regolare le unioni civili tra persone dello stesso sesso, realizzi, di fatto, un istituto analogo, in tutto, al matrimonio e che nonostante non preveda per i membri di dette unioni, l’accesso all’adozione di minori – com’è avvenuto in Germania e pochi giorni fa in Austria – questa sarebbe rapidamente introdotta dalla Corte Costituzionale in nome del principio di uguaglianza; difatti, a situazioni analoghe dovrà corrispondere la stessa disciplina; pertanto, saranno, in breve tempo, riconosciuti ai conviventi omosessuali – in conformità con l’interpretazione che dà la Corte EDU del diritto alla vita familiare, ex art. 8 CEDU e per non ledere il divieto di discriminazione previsto dall’art. 14 CEDU – gli stessi diritti dei coniugi con tutto ciò che ne consegue, anche in tema di adozione dei minori.
Il Comitato Sì alla famiglia è del tutto contrario all’equiparazione giuridica tra la famiglia fondata sul matrimonio stabile di un uomo e una donna e altre formazioni sociali in cui il legame non sia altrettanto stabile (convivenza more uxorio) e differenziato (unioni tra persone dello stesso sesso). Di fronte a realtà diverse e non equivalenti, il diritto non può assumere un atteggiamento di neutralità e d’indifferenza, se non a prezzo di un’ingiustizia nei confronti di entrambe le realtà considerate, che sarebbero trattate in egual modo. L’accusa d’ingiusta discriminazione delle coppie di fatto rispetto al matrimonio coglierebbe nel segno se si trattasse di formazioni sociali equivalenti sotto il profilo della stabilità e della differenza sessuale connessa alla potenzialità generativa ed educativa. Essendo le coppie di fatto ed il matrimonio differenti sotto tali profili, ingiustamente discriminante sarebbe, semmai, la loro equiparazione giuridica.
Dal Dl Cirinnà deriva un sistema di relazioni familiari che si fa letteralmente in quattro:
1. civil partnership fra persone dello stesso sesso, con regime di fatto paramatrimoniale, con la sola eccezione dell’adozione;
2. patti di convivenza fra persone di sesso diverso, o fra persone dello stesso sesso che desiderano un’unione meno impegnativa e meno invasiva;
3. unioni di fatto fra persone, dello stesso o di diverso sesso, che vogliono stare insieme senza sottoscrivere alcun patto di convivenza;
4. matrimonio fra persone di sesso diverso, com’è stato disciplinato finora.
Per avere un’idea di ciò che sarà l’unione di cui al n.1, cui è dedicata la prima parte del testo-base e per convincersi che definirla paramatrimonio non è una esagerazione, basta leggere il dettato delle disposizioni, senza necessità di commento:
* articolo 3: “ad ogni effetto, all’unione civile si applicano tutte le disposizioni di legge previste per il matrimonio”, con la sola eccezione della possibilità di adottare;
* articolo 2: “le parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso stabiliscono il cognome della famiglia scegliendolo tra i loro cognomi. Lo stesso è conservato durante lo stato vedovile fino a nuove nozze (…)”. A parte l’uso del termine vedovile per il partner che sopravvive, il Dl sembra ammettere che l’omosessualità non sia uno stato irreversibile, visto che per il “vedovo di un’unione dello stesso sesso” è prevista la possibilità di contrarre nuove nozze con persona eterosessuale.
* articolo 4: “Nella successione legittima (…) i medesimi diritti del coniuge spettano anche alla parte legata al defunto da un’unione civile tra persone dello stesso sesso”;
* articolo 7: il governo è delegato ad attuare con proprio decreto la riforma, tenendo conto, fra gli altri, del seguente principio “in materia di ordinamento dello stato civile (..,) gli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso siano conservati dall’ufficiale dello stato civile insieme a quelli del matrimonio”;
Gli articoli da 8 a 21 riguardano, invece, la “disciplina delle convivenze” fra persone dello stesso o di altro sesso. Questa seconda parte del testo-base conferma dove si va a parare con la prima, che un conto è la convivenza e un conto la civil partnership, un conto sono le unioni civili vero nomine e un conto è la costruzione di un sistema eguale al matrimonio, tranne che nell’adozione (essendoci la seria probabilità che la “lacuna” venga poi colmata dalla Corte costituzionale). È evidente che parlare di famiglie fa perdere il senso autentico del termine famiglia: un senso non confessionale, derivante dalla tradizione della civiltà Occidentale. È nota la definizione che del matrimonio dà Modestino; egli, pur essendo un giurista insigne – uno dei cinque giuristi le cui opere costituivano fonti utilizzabili nei giudizi: il Digesto contiene circa 350 passi a lui attribuiti – non ha avuto la grazia della conversione. Vissuto nel III secolo d. C., non conobbe la fede cattolica; ecco come indica i tratti essenziali dell’istituto matrimoniale: “Nuptiae sunt coniunctio maris set feminae, consortium omnis vitae, diviniet humani juris comunicatio”. Ogni singolo termine ha un significato profondo, e il richiamo al “divino” non è un surrogato religioso, bensì il modo per sottolineare che la faccenda è importante, e trascende l’ordinaria quotidianità. Vi è un evidente legame col richiamo alla natura contenuto nell’articolo 29 della Costituzione italiana – “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” – e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che all’articolo 16 comma 3 riconosce che “la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società”, dopo aver affermato al comma 1 che “uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia”.
Il Comitato Sì alla famiglia ribadisce, pertanto, la sua ferma contrarietà alle unioni civili previste dal Dl Cirinnà, per i motivi suddetti; guarda, invece, con favore a un testo unico che faccia una ricognizione di tutti i diritti esistenti nel nostro ordinamento giuridico a favore delle convivenze di fatto, comprese quelle tra persone omosessuali.