La recentissima sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 9004/21, si inserisce nel processo, iniziato negli anni ’70 del secolo scorso, di espansione della giurisdizione, da parte dell’ordinamento italiano, sul matrimonio concordatario.
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Indice
Il principio della recente sentenza della Cassazione a S.U. su divorzio e nullità matrimoniale canonica.
La recentissima sentenza della Cassazione a Sezioni Unite n. 9004/21, si inserisce in quel processo, iniziato negli anni ’70 del secolo scorso, di espansione della giurisdizione, da parte dell’ordinamento italiano, sul matrimonio concordatario.
La detta sentenza ha sancito un principio che non era ancora non del tutto pacifico nella giurisprudenza.
Tale principio afferma che:
“In tema di divorzio, il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili ma prima che sia divenuta definitiva la decisione in ordine alle relative conseguenze economiche, non comporta la cessazione della materia del contendere nel giudizio civile avente ad oggetto lo scioglimento del vincolo coniugale, il quale può dunque proseguire ai fini dell’accertamento della spettanza e della liquidazione dell’assegno divorzile”.
Breve storia sulla giurisdizione del matrimonio tra lo Stato e la Chiesa.
Per meglio comprendere il solco su cui si innesta questo arresto della Cassazione, è necessario fare una breve storia dei mutamenti di giurisdizione della disciplina del matrimonio, che si sono verificati dall’Unità d’Italia a oggi.
Nell’Italia preunitaria, il matrimonio era disciplinato dal diritto canonico in base alla regola tridentina della competenza della Chiesa circa il matrimonio dei battezzati.
Introduzione del matrimonio civile nel 1865.
Il matrimonio civile fu introdotto con il codice civile del 1865, che si limitò a disconoscere gli effetti civili al matrimonio canonico, perché non era ammissibile che la formazione del rapporto coniugale fosse disciplinata, non dalla legge dello Stato, ma dalla legge confessionale dei nubendi.
Così dal 1° gennaio 1866 fino all’11 febbraio 1929, per ben 63 anni, l’ordinamento italiano riconobbe, come matrimonio, il solo matrimonio civile che, pertanto, divenne obbligatorio, senza che però fosse vietata la celebrazione religiosa, in via del tutto autonoma, per le persone già unite, in municipio, dal matrimonio civile.
Nell’arco di tempo fra il 1866 e il 1929 la Chiesa cattolica rimase libera quanto alla celebrazione del matrimonio religioso dei propri fedeli, ma tale evento era per lo Stato un fatto privo di rilevanza giuridica come “matrimonio”, per cui quanti volessero celebrare nozze valide sia per lo Stato, sia per la Chiesa, dovevano effettuare una doppia celebrazione davanti all’ufficiale dello stato civile e davanti al ministro di culto.
Il Concordato del 1929.
Con il Concordato del 1929 la Chiesa riacquistò sul matrimonio un potere in qualche modo simile a quello previsto dal Concilio di Trento: il matrimonio canonico, infatti, era rilevante agli effetti civili, purché fosse trascritto nei registri dello stato civile.
Le cause di nullità del vincolo erano riservate alla giurisdizione dei Tribunali ecclesiastici, le cui sentenze erano rilevanti nel diritto dello Stato. Erano altresì rilevanti le dispense pontificie sul matrimonio rato e non consumato.
Il Concordato del 1929 aveva instaurato un sistema fondato sulla “esclusività” della giurisdizione ecclesiastica, come l’unica giurisdizione cui il cittadino, che avesse contratto matrimonio nella forma concordataria, potesse rivolgersi.
L’articolo 34 del Concordato del 1929 sanciva, al comma 4, infatti, che le cause concernenti la nullità del matrimonio erano riservate alla competenza dei tribunali ecclesiastici e la delibazione della sentenza ecclesiastica avveniva in modo automatico da parte dell’ordinamento italiano.
L’Accordo di Villa Madama del 1984.
Questa “esclusività” dopo il 1970 si è andata restringendo, fino alla sua abrogazione, avvenuta con l’entrata in vigore della Legge 25 marzo 1985 n. 121, che ratificò e diede esecuzione agli Accordi di Villa Madama del 18 febbraio 1984, modificando, così, i precedenti Patti lateranensi che diedero vita al Concordato dell’11 febbraio 1929.
La criterio della prevenzione in favore della giurisdizione civile.
La Cassazione, così, affermò, con la sentenza 3345/1997, che il concorso tra la giurisdizione ecclesiastica e quella civile dev’essere risolto secondo il criterio della prevenzione in favore della giurisdizione civile, in virtù del quale:
a) il giudice italiano preventivamente adito può giudicare sulla domanda di nullità di un matrimonio concordatario;
b) il convenuto in una causa di divorzio può chiedere l’accertamento della nullità del vincolo;
c) la pendenza del giudizio civile nel quale sia stato chiesto l’accertamento della nullità impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica;
d) il giudizio civile può essere paralizzato soltanto dall’intervenuta delibazione della sentenza ecclesiastica;
e) il giudicato di divorzio non impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità, ma non può ritenersi travolto dalla stessa (cfr. Cass., Sez. I, 18/04/1997, n. 3345).
Espansione della giurisdizione sul matrimonio concordatario da parte dell’ordinamento italiano.
Inizia, così, un’espansione della giurisdizione sul matrimonio concordatario da parte dell’ordinamento italiano, che ha iniziato a usare un attento controllo dell’ordine pubblico italiano, in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica, fino a giungere alla sentenza a Sezioni Unite della Cassazione n. 16379 del 17 luglio 2014, tendente ad accrescere ulteriormente la giurisdizione dello Stato italiano sul matrimonio concordatario.
Da qualche tempo, infatti, si stanno verificando, da parte di organi dello Stato italiano, prese di posizione che denotano una certa diffidenza, un senso di contrarietà verso la funzione giudiziaria svolta dalla Chiesa, interventi che lasciano trasparire l’intento di contenere tale funzione, di limitarne l’applicazione, di controllarne e, ove possibile, di censurarne il concreto esercizio.
“Matrimonio atto” e “matrimonio rapporto”.
Lo Stato italiano sembra che con la scusa della tutela dei diritti dei più deboli voglia in generale ridefinire l’istituto familiare e matrimoniale. La sentenza n. 16379/2014, ad esempio, rievoca la distinzione tra “matrimonio atto” e “matrimonio rapporto”.
Il nostro ordinamento privilegia il “matrimonio rapporto” cioè l’effettività dell’unione coniugale, la continuità e l’attualità della comunione materiale e spirituale dei coniugi, facendo dipendere dalla volontà delle parti, anziché dalla dichiarazione iniziale, l’esistenza del matrimonio-rapporto.
Diversamente, l’ordinamento canonico privilegia il “matrimonio atto”, cioè il consenso – esternato al sacerdote durante la celebrazione – che è irrevocabile nel corso del rapporto.
L’ordinamento canonico, d’altronde, considera la persona nella sua totalità, dando rilevanza anche alle sue relazioni, soprattutto a quelle che – come il matrimonio – impegnano la vita come tale, valutando in termini espressamente giuridici anche gli aspetti morale e spirituale.
L’ordinamento italiano, da parte sua, conferisce valore giuridico quasi esclusivamente a ciò che viene esteriorizzato.
Sembra che i giudici della Suprema Corte vogliano orientare il nostro ordinamento giuridico – in una prospettiva sempre più positivista – verso l’eliminazione d’interferenze sulla propria giurisdizione matrimoniale e familiare per essere liberi di indicare tratti innovativi e talora rifondativi dell’istituto familiare.
La recente sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, n. 9004/21.
La recentissima sentenza della Cassazione a Sezioni unite n. 9004/21 è significativa perché toglie un altro tassello, alla giurisdizione della Chiesa sul matrimonio concordatario.
Tale sentenza enuncia il seguente principio:
“Il riconoscimento dell’efficacia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio religioso, intervenuto dopo il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del medesimo matrimonio, non impedisce la prosecuzione del giudizio di divorzio ai fini della decisione in ordine alla domanda di determinazione dell’assegno”.
Titolo giuridico dell’obbligo di mantenimento dell’ex coniuge.
La Cassazione ha, dunque, affermato che il titolo giuridico dell’obbligo di mantenimento dell’ex coniuge “non è costituito dalla validità del matrimonio, oggetto della sentenza ecclesiastica”, ma “si fonda sull’accertamento dell’impossibilità della continuazione della comunione spirituale e morale tra i coniugi stessi, che è conseguente allo scioglimento del vincolo matrimoniale civile o alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario”;
concludendo pertanto che “la questione della spettanza e della liquidazione dello assegno divorzile non è preclusa quando l’accertamento inerente all’impossibilità della prosecuzione della comunione spirituale e morale fra i coniugi (…) sia passato in giudicato prima della delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del medesimo matrimonio, come si verifica nell’ipotesi in cui nell’ambito di un unico giudizio la statuizione relativa allo stato sia stata emessa disgiuntamente da quelle inerenti ai risvolti economici”.
La Corte ha affermato che i criteri previsti dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, ai fini dell’attribuzione e della quantificazione dell’assegno dovuto all’ex coniuge devono trovare applicazione in riferimento all’intera durata del vincolo matrimoniale, anzichè a quella effettiva della convivenza, dovendosi in particolare comprendere, nella nozione di contributo fornito da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di entrambi, non solo quello offerto nel periodo della convivenza, ma anche quello prestato in regime di separazione, soprattutto per quanto riguarda il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli (cfr. Cass., Sez. I, 7/11/1981, n. 5874; 29/05/1978, n. 2684).
Diversità di natura tra sentenza di nullità e quella di divorzio.
La Cassazione ha, così, affermato che sussiste diversità di natura ed effetti tra la sentenza di nullità e quella di divorzio, per petitum e causa petendi, mirando la domanda di nullità del matrimonio concordatario ad ottenere l’accertamento dell’invalidità originaria del vincolo coniugale, ed investe pertanto il matrimonio-atto, mentre quella di cessazione degli effetti civili incide sul matrimonio-rapporto, del quale mira a provocare lo scioglimento con efficacia ex nunc.
La Corte, tuttavia, non condivide la tesi che trova fondamento nella solidarietà post-coniugale, la quale presuppone un rapporto di coniugio fondato su un matrimonio-atto valido o quanto meno non nullo, secondo cui le statuizioni economiche conseguenti alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio non possono sopravvivere alla dichiarazione di nullità dello stesso, a meno che non siano già passate in giudicato.
La Suprema Corte esclude, peraltro, il paventato pericolo di un contrasto di giudicati, quanto meno sotto il profilo pratico della potenziale sovrapposizione tra gli effetti economici del divorzio, nella forma del diritto all’assegno, e quelli della nullità, derivanti dall’applicabilità della disciplina del matrimonio putativo.
Conseguenze economiche
Pertanto, sostiene che il passaggio in giudicato della pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, verificatosi a seguito della proposizione dell’appello e quindi in data anteriore alla delibazione della sentenza ecclesiastica, consente di escludere l’operatività di quest’ultima, non solo ai fini dello scioglimento del vincolo coniugale, ma anche in ordine alla determinazione delle relative conseguenze economiche.
Conclusione.
La sentenza a Sezioni Unite della Cassazione, che abbiamo esaminato, anche se può apparire per certi versi giustificabile negli esiti, tuttavia si pone nel solco di una sempre maggiore perdita di giurisdizione sul matrimonio da parte della Chiesa a favore dello Stato italiano, che, come già accennato, sembra mirare, da parte dello Stato, all’eliminazione d’interferenze sulla propria giurisdizione matrimoniale e familiare per essere libero di indicare tratti innovativi e talora rifondativi dell’istituto familiare.
[…] La Cassazione rende sempre più irrilevante la giurisdizione della Chiesa sul matrimonio. […]